La Diga del Gleno

La Diga del Gleno

L’escursione ai ruderi della diga del Gleno è ambientata nell’ancora incontaminata valle di Scalve e si snoda lungo un facile percorso, sempre ben segnalato, che, partendo da Pianezza, frazione di Vilminore, raggiunge la nostra meta in circa un’ora di rilassante ed appagante camminata. E’ un’escursione dagli incantevoli panorami, come quello sulla prospiciente parete nord della Presolana, impreziosita dalla presenza di numerosi torrenti d’acqua, dalle imponenti rupi della valle e dalla maestosità delle grandi vette del Pizzo Tornello e del Monte Gleno che chiudono la testata della valle. E’ anche un escursione che purtroppo rievoca il triste evento del 1 dicembre 1923 quando, intorno alle ore 07:15, avvenne il crollo delle dieci arcate centrali della diga che portarono al rilascio dell’enorme massa d’acqua contenuta nel bacino (circa 6 milioni di metri cubi d’acqua, detriti e fango) che, scesa violentemente a valle, distrusse interi paesi portando la morte di almeno 356 persone.

La storia

Quella della diga del Gleno è una triste storia che ci riporta indietro nel tempo, sino al primo decennio del XX secolo quando, complice un’intensa modernizzazione globale, nel mondo sale vertiginosamente la richiesta energia elettrica. Poche le alternative per produrre energia; la più conveniente pare proprio quella legata alla costruzione di dighe e bacini artificiali per la realizzazione di centrali idroelettriche. L’arco alpino risulta un sito ideale per lo sviluppo idroelettrico.

Mentre il mondo è indaffarato nella ricerca di idonee location, nell’incontaminata e verdeggiante valle del Gleno il torrente Povo continua perenne il suo tortuoso cammino, solcando per intero la vallata sbuca nella Valle di Scalve per poi terminare in Valle Camonica. In questo incantevole paradiso, l’uomo è ancora ben lontano dal realizzare le sue grigie cementificazioni.

Come spesso accade, sono però gli interessi economici a farla da padroni ed il passo che separa l’idilliaco paradiso della valle del Gleno dalla sua cementificazione è davvero breve. Fu così che nel 1907 venne richiesta una concessione per lo sfruttamento idroelettrico del Torrente Povo e, dopo l’intermezzo del primo conflitto mondiale, nel 1919 la ditta Viganò presenta un proprio progetto ed inizia i lavori. In corso d’opera avvengono però sostanziali modifiche: il progetto di una diga “a gravità” viene sostituito da quello più economico “ad archi multipli” che si innesta direttamente su quello precedente, in parte già realizzato. Tutto ciò senza alcuna definitiva autorizzazione.

Il 1° dicembre 1923, tra le 7:00 e le 7:15, il guardiano della diga avverte un forte tonfo ed alcune vibrazioni nella struttura da cui cadono frammenti di muratura. Improvvisamente nella diga si apre uno squarcio di circa 80 metri (sui 260 totali), dando libero sfogo a 6 milioni di mc di acqua che irrompono nella valle del Povo come un’immensa onda di tsunami, provocando un disastro catastrofico. Il paese di Bueggio, il più vicino alla diga, viene spazzato via, poi tocca a Dezzo dove l’acqua giunge circa un quarto d’ora dopo e provoca forti distruzioni nella fornace e nella centrale idroelettrica. L’onda impazzita e senza freni percorre l’intera valle, finendo la corsa addirittura in Val Camonica, nei pressi di Darfo Boario Terme, per esaurirsi nel lago di Iseo, circa a 45 minuti dal verificarsi dello squarcio e dopo 20 km di tragitto a folle velocità. Per i poveri abitanti della valle c’è poco scampo: preavvertiti da un forte spostamento d’aria (che strappa loro di dosso i vestiti) e da un sinistro boato, non hanno tempo di trovare rifugio. Alla fine si conteranno 356 vittime, anche se la cifra effettiva non si saprà mai e presumibilmente potrebbe sfiorare le 500 unità. Un’intera valle, vero paradiso ambientale, è devastata e si trasforma in un inferno dantesco, con i pochi attoniti superstiti a vagare spauriti ed increduli tra macerie, fango, pietre e carcasse di animali. Un disastro immenso che ovviamente ricorda la ben più famosa tragedia del Vajont, similare per sviluppo dell’onda nella valle ma diversa per cause e più grave per numero di vittime.

(fonte: MeteowebIl disastro del Gleno, il “piccolo Vajont” dimenticato)

Descrizione del percorso

Raggiunta la frazione di Pianezza, in Vilminore di Scalve, imbocchiamo il segnavia 411 CAI che, passando inizialmente tra i vicoletti dell’abitato, a destra di una fontana coperta, sale un primo tratto prativo, limitato da alcuni cavi metallici, e poi si immerge nell’incantevole ambiente boschivo.

Successivamente il sentiero, sino ad allora poco impegnativo, assume maggiore pendenza e, salendo per comodi tornati, in un ambiente roccioso costellato dalla presenza di numerosi rododendri, fiancheggiato da una grossa condotta dell’acqua, poi oltrepassata da un breve ponticello, sale sino a raggiungere la località Pagarulì, una struttura in cemento da cui parte la condotta d’acqua.

All’improvviso ecco che appare in lontananza la diga del Gleno e parte dello squarcio dell’arcata centrale. Il sentiero prosegue ora in piano, contornando i ripidi fianchi della montagna, messi in sicurezza da un cavo metallico, ed in circa venti minuti di comoda camminata si giunge alla base dei ruderi della diga dietro i quali è presente ampia conta prativa ed il bacino lacustre di circa 250 metri.

Il sentiero 411 CAI è lontano dal terminare, il suo cammino poiché prosegue sino a condurre direttamente alla vetta del Monte Gleno, percorrendo longitudinalmente la tipica valle alpina scavata dal torrente, dove, in un ambiente incontaminato, segue il torrente Gleno con i suoi laghetti, le marmitte dei giganti ed una numerosa serie di spettacolari cascatelle, disegnati nel tempo che, almeno qui, sembra essersi fermato. Sarà per la prossima volta…

Tracciato GPS
Non disponibile.
Scheda sintetica
Data dell’escursione 7 Maggio 2009
Località di partenza Vilminore di Scalve, frazione Pianezza
Sentieri utilizzati 411 CAI
Tempi di percorrenza 1 ore circa
Altitudine massima 1545 metri
Attrezzatura Da escursionismo
Difficoltà E (Escursionistico)
Acqua sul percorso Presso il bivacco, se aperto
Note Nulla

Cristian

Adoro la montagna, risalire lentamente i suoi ripidi versanti, percorrere quei tortuosi sentieri tra fitti boschi ed ampie distese prative. Adoro tutto ciò che l'avvolge e la rende speciale: curiosi animali e coloratissimi fiori, antichi borghi e cadenti cascine abbandonate, il soffio del vento che fischia ai valichi tanto quanto la neve che - candida - cade lentamente, un improvviso temporale tanto quanto l'alba ed il tramonto. Con la fotografia m'illudo di rubare l'emozione di quel momento vissuto sui monti, un'emozione che però porterò sempre con me!

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